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lunedì 25 maggio 2020

il mio ricordo della strage di Capaci

Ricordo quella notizia, ero studente universitario, studiavo per un esame importante, ero in pantaloncini e maglietta ed avevo i capelli arruffati perché non uscivo da giorni immerso nello studio. Rimasi attonito davanti la tv, mi sedetti a stento sulla punta del divano, sentii calare la pressione e mi tenni aggrappato ad un bracciolo. Guardai il cielo fuori dalla finestra per distogliere l'attenzione dalla tv che continuava a mostrare le immagini dall'alto di una autostrada sventrata. Mi sembrò di ripiombare in un altro ricordo terribile che aveva segnato la mia infanzia: la Renault 4 rossa con il portellone del baule sollevato ed il corpo di Aldo Moro all'interno. E nella stessa maniera vedevo la terra rossa circondare la voragine creata dalle bombe, le lamiere contorte, il motore della Fiat Croma a decine di metri da quello che rimaneva dell'abitacolo del veicolo. La gente, i giornalisti che attoniti e muti vagavano per il nastro stradale circondando l'auto di Falcone come era successo con quella di Aldo Moro. Non ripresi a studiare, rimasi scosso per giorni, ero solo in quel periodo nella mia casa da studenti. Quando, poco tempo dopo ci fu l'attentato di Borsellino, caddi letteralmente in paranoia. Mi ricordo le parole del giudice Antonino Caponnetto che diceva tra le lacrime: "è finito tutto, è finito tutto". Lo pensai anche io.... sono contento che voi ragazzi non abbiate vissuto quegli anni e quelle assurdità. Certo, avete conosciuto altre atrocità, ma quelle almeno non le avete sentite sulla vostra pelle. Molti anni dopo, avevo finito l'Università, facevo un dottorato di ricerca ed accompagnavo, come tutor della mia facoltà, un gruppo di studenti per un seminario di studio tra Palermo e Cinisi (Cinisi è il paese dove si trova l'aeroporto di Palermo, ma anche il paese di Peppino Impastato) e percorsi per giorni, varie volte, quella strada e quel punto (lo svincolo per Capaci) in cui era avvenuto l'attentato. Per circa 300-400 metri, a quei tempi, l'asfalto non era più nero ma era stato colorato di rosso in ricordo della strage. Ogni volta che lo attraversavo pensavo al rosso della terra sollevata dalla bomba ed un brivido freddo attraversava la mia schiena. Anche in quei momenti distoglievo lo sguardo dalla strada, dall'asfalto, e guardavo il cielo dalla parte del mare che è a due passi (dall'altra parte c'è la montagna). Il tempo di superare quel tratto di strada, di resettare la memoria e tornavo a parlare e discutere con i miei compagni di viaggio e di lavoro. Ma dentro di me il rosso rimaneva a lungo


Angelo Campo

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